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Titani: un commento

Se un’idea è più moderna di un’altra è segno
che non sono immortali né l’una né l’altra”
Carlo Emilio Gadda

Enrico Marani, @SamoraSOUND ha scritto un interessante post su “Titani e Titanismo” e, in un tweet successivo, si è detto alla ricerca di uno “junghiano” che lo commentasse.

Ho messo tra virgolette il termine junghiano perché, fedele alla massima di Jung che disse che non conosceva altri junghiani al di fuori di se stesso, mi astengo dal definirmi tale e perché non so se il mio commento sarà in qualche modo sintonico con ciò che Jung avrebbe detto se le domande che vengono poste nell’articolo gli fossero state rivolte.

Certo ne seguirà, in piccolo, il metodo: l’amplificazione. Girerò un po’ attorno all’idea e all’immagine del Titano e, partendo dalla descrizione di Enrico, che vede questa figura in termini più politici che psicologici, mi sposterò sul mio piano (altrettanto inclinato) che, invece, si concentra sulla soggettività, sulle sindromi e sulle resistenze e sintomi che ai “Titani” si accompagnano.

Si chiede Enrico: “Dove si nasconde ora la ribellione dei Titani contro tutte le forze superiori (divinità, destino, natura, potere dispotico ecc.) che dominano e opprimono gli slanci vitali e la libertà stessa? Nella postmoderna erosione di senso, in un capitalismo ridotto a monarchia di banche centrali e oligopolio di multinazionali, nel comunismo Cinese o nel dispotico postcomunismo Putiniano c’è ancora posto per i Titani? Dov’è la loro ribellione che frantuma muri, sradica eserciti e blocca miniere? Dov’è quel combustibile per combattere ed inveire contro il cielo e gli elementi?[…] Dove pulsa l’urlo di un’epoca nuova che incanali la furia dei Titani nell’alveo di un nuovo orizzonte?”

Che ne so? Che ne sappiamo noi, piccoli mortali, delle immensità dei Titani, della potenza delle idee, la potenza che carica certe convinzioni fino a renderle esplosive, impetuose e “realizzanti”: in grado di entrare come azioni nella realtà e di sovvertirla?

Sembra che poche idee ben radicate, concetti forti ed espressi in modo semplice e conciso, quasi slogan a volte, siano in grado, in certi frangenti storici, di muovere le coscienze e le masse; di svegliare popoli che sembravano (dopo, quando gli storici studiano la rivoluzione) pronti per prendere in mano il loro destino e ribellarsi o resistere o rivoltare o… stare dall’altra parte rispetto all’ordine costituito. Diventano “titaniche” certe forze: potenti e quasi cieche, inarrestabili, spesso, e grandi, soprattutto.

La grandezza, l’essere smisurati e senza freni, non misurabili con i vecchi parametri e non contenibili nelle loro manifestazioni di potenza… queste iperboli caratterizzano i titani e la “dottrina” che li permea, il titanismo. Che siano eserciti, masse, regimi, movimenti o “potenze”, se sono titanici sono enormi e molto, molto forti.

Sembrano scomparsi i Titani, adesso. O non si vedono? Sono, forse, in un qualche tipo di sottosuolo? Imprigionati per l’ennesima volta nel Tartaro, l’abisso oscuro in cui Zeus li chiuse dopo averli sconfitti nella Titanomachia, la lotta necessaria all’ascesa degli dei e al loro impero? O si mascherano e, sotto mentite spoglie, esercitano comunque il loro dominio?

L’Hybris, la tracotanza di chi è o si sente più grande è, in certi momenti, esattamente ciò che ci vuole: serve per agire, per sfidare gli dei, per unire e dare forza, impatto, resistenza. E’ utile quando si deve cambiare, quando bisogna vincere un’inerzia, quando il nemico è soverchiante. Ma cosa succede quando è impugnata da chi è già al potere? Quando è usata per reprimere o per dominare, più che per ribellarsi e sovvertire? E quanto sono distanti i due estremi? Quanto facilmente la rivoluzione si trasforma in conservazione o in terrore?

Lo sciopero di un anno dei minatori del Galles di cui parla Enrico giganteggia su uno sfondo che rende ridicoli i preparativi di due mesi con cui ora si annuncia una giornata (!) di protesta.

Sembra che il pensiero, il porsi domande complesse e il relativizzare, sempre, le scelte, rendendole opzioni possibili ma discutibili e negoziabili abbia indebolito i titani fino a renderli obsoleti, facendo prevalere l’idea che la forza, l’urto e l’intensità non abbiano potere nei confronti della complessità del mondo odierno e del nuovo “spirito dei tempi”.

Ma aveva ragione Gadda: “Se un’idea è più moderna di un’altra è segno che non sono immortali né l’una né l’altra”. I parametri “ nuovo” e “vecchio” rappresentano misure sbagliate quando si tratta di comprendere forze primordiali e miti: cose che non sono mai successe ma che continuano ad accadere. Non si misurano gli dei né, tanto meno, i titani!

Se vogliamo capire, se vogliamo rispondere a domande che interrogano su forze che ci muovono nostro malgrado e su resistenze che dominano la nostra libertà di azione e di pensiero, le categorie da usare sono quelle di conscio e inconscio. Cosa vediamo e cosa sfugge al nostro sguardo? Cosa è così grande da non essere visto se non con la distanza giusta? Dove è finito il nemico che prima era così chiaramente schierato contro e dall’altra parte? Quale maschera indossano i titani e “quali dei” potranno contrapporsi al loro dominio?

Diceva Hillman, in un suo saggio del 1989: “La cura dell’enormità attraverso una maggior disciplina (più regole, più complessità, più “cose da tenere presenti”) non è altro che una misura allopatica: una cura mediante l’opposto che può portare ad un fascismo moralista e puritano […]. In altre parole, la repressione del titanismo non fa che produrre un altro tipo di titanismo, a meno che non si comprenda quello di cui veramente si occupa Zeus (il dio che per primo soggiogò e contenne i titani): il potere ordinatore di un’immaginazione differenziata, ovvero quello che io ho chiamato politeismo.” (Corsivi miei)

Insomma e in parole solo un po’ più semplici, se ogni lotta è lotta fra due fazioni avremo sempre i titani da una parte e dall’altra, sempre delle astrazioni: dio e il diavolo, i padroni e la classe operaia, lo stato e i cittadini. E, come figura e sfondo, a volte sarà in primo piano una parte e, altre volte, l’altra. Una più conscia e l’altra più inconscia, una che lavora in superficie e l’altra che insiste, sta sotto, in profondità.

Non si tratta di stabilire se i titani siano buoni o cattivi. Resteremmo in una sorta di monoteismo che, contrapponendo, non fa che ribadire il conflitto e attutire il pensiero.

Dovremmo uscire dalla dualità e da una visione letterale che semplificando crea titani. Il titanismo si nutre (da una parte e dall’altra) di semplificazioni: poche idee ben radicate, pensieri solidi che portano all’azione. Se cerchiamo chi ragiona così, chi riduce a fazioni, chi maschera con la complessità intenzioni banali e interessi fin troppo personali, avremo più probabilità di vederli, meno occasione di negarli, più possibilità di immaginare modi per avere a che fare con la loro forza.

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